Baglioni e Morandi raccontano l’Italia sul Corriere7
“Crediamo in DE GASPERI, PROUST e… Nella buona reputazione”
“Alla vigilia di Sanremo Baglioni & Morandi raccontano l’Italia delle canzoni e di un tempo perduto da ritrovare. Da Pasolini a Morricone ecco i loro maestri”
Che nome devo scrivere?». «Annamaria!». «E tu, che nome?». «Cinzia!». Poi Claudia e Rosaria, Patrizia…
Urlano, mentre passano una copia del libro Inter nos sopra il cancello di vetro di Rtl 102,5, in quel di Cologno Monzese. Le fans – diverse decine, dai 20 ai 60 anni – aspettavano al freddo e al buio, fuori dalla radio, da un paio d’ore. «Scrivi Samantha!». «Con le “acche e le kappe”?», scherza Claudio Baglioni mentre virga “Un abbraccio” sul volume in cui, per Bompiani, ha appena raccolto le lunghe riflessioni («E ponderate: ci lavoro tantissimo», precisa) che pubblica da un po’, ogni giorno, su Facebook per i 700 mila seguaci. «Lo allungate a Rosella questo?», chiede l’autore di Sabato Pomeriggio. Sei metri più in là arriva anche Morandi. «Gianni, Gianni, Gianni!», strilla un gruppetto mentre l’altra icona della musica leggera italiana esce dal cancelletto appena aperto e si tuffa fra i selfie delle ammiratrici.
«Ah, stai filmando?», chiede davanti a un iPhone puntato. «Dai, saluta!», è l’invito alla ragazzina che la madre gli ha messo accanto.
A fatica la coppia si fa strada per salire sul mini-van nero che ci deve portare a cena: sono le nove di sera e la trasmissione “Radio Capitani Coraggiosi” è appena terminata (stasera, 5 febbraio, ci sarà l’ultima delle quattro puntate in cui i due cantanti hanno fatto i dj insieme con Angelo Baiguini). «Sai, Gianni fa sempre così», se la ride Baglioni, «anche alla fine dei concerti – dopo tre ore e mezzo di musica! – continua a salutare… Bisogna trascinarlo via». Se pensate di tenerli fermi, questi due grandi della musica italiana, state freschi. Morandi, 72 anni, «612 canzoni in repertorio e 39 album », a Sanremo una volta da vincitore e due da conduttore, film vari per il cinema (tra cui i famosi “musicarelli) e per la tv. Baglioni, 64 anni, «quasi 400 canzoni», oltre 55 milioni di dischi venduti e l’album-record nella storia della musica italiana: «La vita è adesso, dell’85, è stato certificato a 3,8 milioni di copie». È in continuo movimento, la “strana coppia”, da quando si è formata. Hanno cominciato con 10 concerti a Roma, a settembre, ora ripartono col tour il 17 febbraio da Jesolo, 25 date che passeranno anche da Milano, Napoli e Bari. E oggi esce Capitani coraggiosi, il nuovo cd: «Ci sono i nostri 50 titoli più importanti, cantati insieme», spiega Morandi. «L’edizione speciale comprende un terzo cd con brani che abbiamo provato ma mai fatto dal vivo», aggiunge Baglioni. Perché loro, ormai, duettano anche quando chiacchierano. «Nel tour e nel cd metà canzoni sono sue, metà mie», spiega ancora Baglioni, «alcuni brani li cantiamo da soli, poi ci scambiamo i titoli: lui fa Sabato pomeriggio, io mi sono appropriato di Non son degno di te. La scaletta è studiata per essere quasi un’operina, c’è una procedura, musicale e narrativa». Com’è venuta l’idea del connubio?
«Ci siamo trovati a un incrocio, io venivo da destra…», ironizza il cantautore romano, forse giocando con il “dna comunista” del collega bolognese. (Scherza spesso, Baglioni. In radio, durante un fuorionda, a Morandi che gli chiedeva cosa ne pensasse della maglietta nera ufficiale del tour fresca di conio, ha risposto: «Non sarà un po’ troppo fina?», citando Questo piccolo grande amore, premiata anche a Sanremo nell’85 come canzone del secolo).
«Ci conosciamo dal 1969», attacca Morandi. L’anno di Scende la pioggia: faccio outing, è la sua prima canzone che ricordo, mia sorella, a 4 anni, la cantava tutta a memoria. «Gianni era il principe degli artisti italiani, io avevo fatto il primo disco, “Signora Lia”. Ci incrociammo a una serata promozionale organizzata dalla Rca al Cavalieri Hilton di Roma», continua Baglioni, «un evento mezzo mondano per presentare dei nuovi artisti: io, appunto e, mi sembra, il Banco del Mutuo Soccorso. Gianni era circondato da discografici e giornalisti. Io stavo al buffet. Lui s’è girato e mi ha hiamato: “Signora Lia…». «Non ricordavo il tuo nome!».
Cambio di stagione. Le loro canzoni sono diventate la colonna sonora dell’Italia; da quel giorno, ovviamente, anche le loro vite si sono incrociate parecchie altre volte. Prima che arrivassero a unirsi sul palco, e in un disco, tante altre cose sono successe.
«Avevamo la stessa casa discografica», ricorda Morandi, «ma gli anni successivi al primo incontro ribaltarono subito tutto. Claudio esplose, io cominciavo a essere in ombra». Arrivava l’onda dei cantautori. «Che, a noi interpreti, ci ha ammazzato. A me, e a tutta la mia generazione: Bobby Solo, Little Tony, Reitano, la Berti, la
Cinquetti…». È un pezzo di storia nazionale. Baglioni azzarda una spiegazione: «È come se qualcuno avesse deciso così… Allora il direttore di una casa discografica aveva la forza di stabilire che cosa dovesse essere ascoltato». «E noi non eravamo più “nel tempo”», aggiunge Morandi. «C’erano i gruppi americani, la canzone politica impegnata, l’Austerity, gli Anni di Piombo, le Br, e noi rappresentavamo gli Anni 60, il mondo delle “copertine” dei rotocalchi.
Quando andavo alla Rca, dove prima mi stendevano tappeti rossi, non mi facevano più incidere; mentre nei corridoi risuonava Vangelis che faceva l’arrangiamento di E tu di Claudio, oppure sentivi la voce di Battisti. Smisi anche di andarci, alla Rca. Aveva ragione mio padre, che faceva il contadino. A ogni disco mi diceva: guarda che tutto questo finisce presto! È l’ultimo che fai! Aveva paura che mi montassi la testa: “Metti i soldi da parte per le tasse…”».
«Anche mio padre mi diceva così», interviene Baglioni, figlio di un sottufficiale dei carabinieri: «“Bisogna sempre essere prudenti…”». «E tu, lo ascoltavi?», lo incalza Morandi. «No, però non avrei mai pensato che questo lavoro, questa carriera durasse così tanto». «Nooo, infatti!», gli fa eco Gianni. Claudio continua: «Mi dicevo: “tanto prima o poi”…
Magari me lo ripetevo per cadere in piedi, nel momento in cui fosse accaduto. Eravamo appunto abituati a vedere dei cambi epocali ogni 10-15 anni. Anche quando
era arrivato Gianni, i Claudio Villa e le Nilla Pizzi furono spazzati via. Ti dicevano: “Ma che fai, ascolti ‘sta roba? Ma come sei antico!”. Anche se ti piacevano certe cose, non potevi dirlo. Oggi non c’è più questa conflittualità fra generazioni. Tutti ascoltano un po’ tutto, i genitori si vestono più moderni dei figli… è una gran confusione: mio figlio è più serio e rigoroso di me!». Che vi dicevate allora? «Non ci parlavamo tantissimo. Lo vedevo arrivare come una star e pensavo: come cambiano le cose! E poi, tu mi trattavi un po’ così…», scherza Morandi. Che poi precisa: «No, Claudio è sempre stato riservato, con tutti. Poi, negli anni 80 è cambiato». Baglioni: «E tu hai avuto una capacità di rialzarti pazzesca, dopo il successo incredibile che avevi avuto e il “basso” successivo: ti sei “messo di punta”, hai anche studiato il contrabbasso…».
Il cameriere interrompe la conversazione «Acqua gasata o naturale? ». Un po’ e un po’. «Cacio e pepe? Spago aglio e olio con crema ai porri e sarago in carrozza?». Quello che prendi tu, prendo anch’io, si dicono, insieme. Era da più di 10 anni che ci ripetevano anche: “Facciamo qualcosa, insieme”. In mezzo c’è stato anche un
concertone, «noi due e Cocciante a Malta, con 150 mila persone, praticamente metà della popolazione dell’isola…». «Finché un anno e mezzo fa, a Bologna, sono andato a vedere il concerto di Claudio, con una sequenza di canzoni senza parole in mezzo, una specie di grande musical», ricorda Morandi. «Andai in camerino: “Fortissimo”, esordii, poi cominciammo a parlare di noi stessi, della sua vita, della mia…». È stata la prima volta che vi raccontavate così? «Sì», dice ancora Morandi.
«Dopo qualche giorno mi ha chiamato Claudio e mi ha detto: “Ti ricordi quel vecchio progetto?”».
Capitani coraggiosi è nato così. Ma che cosa avete visto di coraggioso, nella vostra vita? Comincia Baglioni: «Il coraggio della mia famiglia. Partire dalla campagna umbro-toscana, inurbarsi nelle periferie di Roma. Ricordo la casa umida, affittata e subaffittata, a Centocelle, dove sono cresciuto. Forse è stata tutta quella generazione, che si è rimboccata le maniche ed è risorta dai guasti della guerra.
Mi ricordo come i libretti dei conti li tenevano tutti e due, sia mia madre sia mio padre, e li confrontavano su qualsiasi spesa: c’era un incredibile senso di parsimonia. Noi – e dopo di noi ancora meno – non ci siamo così sacrificati. Di quegli anni mi viene inmente anche la mia zia prediletta, sorella di mio padre, che andava a servizio in diverse bellissime case del quartiere residenziale dei Parioli. La domenica, quando i padroni uscivano, ci chiamava e io mia madre e mio padre partivamo dalla periferia per visitare queste case, con un’infilata di camere una dietro l’altra. Quando è stato il momento di decidere dove abitare, ho pensato: ci vuole una rivincita sociale. E non ho avuto dubbi».
«In questo ci somigliamo», continua Morandi, «anch’io penso subito ai miei genitori che decidono di mettere al mondo un figlio in tempo di guerra. Mio padre era appena tornato dall’Albania».
«Anche mio padre ha fatto la guerra in Jugoslavia!», interviene Baglioni.
«Siamo due figli di famiglie semplici, lavoratrici, con il senso della reputazione che si è perso». B.: «Sì, è una categoria superflua, la reputazione. Un tempo era fondamentale a tutti i livelli»… M.: «Ma come si fa a vivere senza? Invece oggi esci dal carcere, hai fregato tutti e te ne vanti!». B: «E forse la cattiva reputazione vale più della buona!». Si recupererà mai? «Non so», tentenna B. «I ragazzi hanno questa tensione di pulizia..», apre M.; e Baglioni: «Però l’aria in cui sono nati e respirano ti fa andare in un certo modo i polmoni. Ci sono buone intenzioni, devono attecchire».
Quali sono, allora, i “capitani coraggiosi” esemplari? Attacca Morandi: «De Gasperi. Era un “nemico”, dal mio punto di vista. Però riguardando la sua integrità…». Baglioni prosegue: «Si fece prestare il cappotto per andare a parlare alla Conferenza di Pace di Parigi (nel ’46, ndr) e disse “Sento che tutto è contro di me, tranne la vostra personale cortesia”». Però è triste se dobbiamo fermarci a De Gasperi. «Anche Sandro Pertini; io poi ho una passione per Berlinguer», dice M. «Erano politici più robusti. Anche fra i liberali…», riflette B., «ma forse siamo tutti un po’ più deboli. In tutte le categorie. La televisione stessa si metteva nella condizione di essere maestra, la qualità degli show era più alta rispetto al gusto medio: oggi si tende a scendere sotto». «Anche nelle tribune politiche, non so se tu Claudio te le ricordi, si parlava uno per volta…». «Sì, sapevano fare i duetti, ora non si ascoltano, c’è la demonizzazione dell’avversario». «Addirittura, quando uno parla, l’altro, per disturbare, sapendosi inquadrato, scuote la testa».
Pasolini e Paki&Paki. E voi, quanti maestri avete incontrato nella vita? «Ho avuto la fortuna di crescere quando c’erano i grandi del cinema», ricorda Morandi, «De Sica, Antonioni, Germi, che mi chiese di fare un film. Ennio Morricone e Bacalov mi insegnavano da ragazzino. E poi Pasolini: ci giocavo anche a pallone. Alla prima
partita di quella che sarebbe diventata la nazionale cantanti, doveva venire pure lui: l’aereo però non partì da Roma, per sciopero.
Quindici giorni dopo morì: il 1° novembre 1975». Baglioni: «Io ricordo che fra i convocati, insieme con me, che ero una pippa allucinante ma mi avevi coinvolto lo stesso, c’erano Battisti – che aveva delle cosciotte così – Gianni Bella, Paki&Paki…». «E poi il Guardiano del Faro», continua Morandi, «Sergio Leonardi (che cantava “Non ti scordar di me”, ndr ). E Mogol. Tu mi vieni in mente in tuta, magro come questa candela (Morandi indica il lume a centrotavola, ndr), coi capelli lunghi lunghi». B.: «Quel giorno avevo la febbre a 39°». M: «Avevi già fatto Sabato pomeriggio. Eravate tutti personaggi con un successo enorme… Però Mogol mi chiamò perché giocavo, facevo un campionato a Roma di terza categoria. E in campo fu una specie di rivincita». B: «Beh, poi sei stato il capitano per eccellenza della Nazionale. Nessuno ha mai avuto la tua autorevolezza. Quando hai smesso, sono andato un paio di volte, ma non c’era più anche sul pullman lo spirito di prima».
«Ero un rompiscatole», precisa Morandi con orgoglio. «Una volta, a Verona», continua Baglioni, «sei venuto a prendermi in aeroporto!». «Ci tenevo! Chi faceva le divise spendeva un sacco di soldi e nessuno se le metteva: un giorno ho convocato tutti: “Se non le indossate, non facciamo più niente”». «Pensa che l’ho messo a posto ieri!», precisa Baglioni. «Una volta», prosegue Morandi, «andiamo in Ungheria e tutti: “Io porto mia moglie, io porto mia figlia…!”.
“Non portate nessuno, sennò state a casa”, replicai. Ma Riccardo Fogli mi dice: Viola Valentino (la moglie, ndr) deve venire, là è una star… E che facciamo, chiudiamo un occhio per lei? Consulto con Mogol. «Ok, però deve prendere un aereo! Noi andavamo insieme in corriera, facevamo gruppo! Comunque vincemmo».
L’arte tascabile di Claudio. Scrittori, cantanti, musicisti… «Una volta c’era una diversa compenetrazione fra le arti», ragiona Baglioni. «Ci si sentiva, si lavorava insieme. A proposito di anime interessanti: avevo appena fatto Signora Lia e una sera, a cena da amici, trovai Giuseppe Berto, l’autore de Il male oscuro. Ho sempre avuto ammirazione per chi lavora con la parola: penso che sia una scienza esatta, anche se massacrata ovunque. Berto, di fronte a uno scribacchino di canzoni, mi disse, dandomi del lei anche se era molto più grande di me: “Non sa la fortuna che ha a lavorare su questa arte “tascabile” che arriva prima di tutte le altre al cuore delle persone». Mentre si parla di amici, la porta della saletta del ristorante dell’albergo milanese Château Monfort si apre. «No, guarda chi c’è!!», esclamano i “capitani”. Compare una bella ed elegante signora mora dagli occhi luminosi. «N’y a pas Riccardò?», chiede Morandi che accenna il baciamano. «La signora Cocciante», la presenta Baglioni, dopo l’abbraccio. «Chiamiamolo, è a Dublino!», dice Catherine Boutet. Il cellulare squilla: «Hello, mon chéri? Ti passo un amico». «Carissimo, bonsoir… c’è anche Claudio che ti vuole salutare». «Come stai? Sembra l’ultimo dell’anno, che ci si passa il telefono: “Tanti auguri!”…», sorride Baglioni. Cocciante, un altro highlander della musica italiana. Come spiegate il vostro successo, permanente, da decenni? «Talenti a parte, intanto noi abbiamo vissuto in pieno i 50-60 anni dell’epopea della discografia: prima, per ascoltare musica, bisognava andare dove si suonava. Un’altra concomitanza importante è stato il fatto che non ci sono state altre rivoluzioni nelle arti popolari, in particolare nella musica. I grandi cambiamenti avvenuti fra gli anni 60 e gli 80, non si sono più ripetuti. Dopo è stata tutta una riproposizione e una rimasticatura di ciò che si ascoltava prima. Mi hanno appena mandato una ricerca della Nielsen che dice che negli Stati Uniti la musica più venduta è quella di catalogo, che supera le novità. Se si fossero evolute altre mode, più o meno valide, o ti adeguavi, diventando
una macchietta, o eri sorpassato. Ma questo non è accaduto». Morandi precisa: «Per un interprete come me, con il passare degli anni, c’è stata una necessità di diversificazione: conduttore, attore… Comunque, noi abbiamo vissuto anche un tempo in cui la musica era centrale, nella vita delle persone. Usciva un disco e tutti
si trovavano per ascoltarlo. Ora la musica è così solo nei concerti live». B.: «Poi, forse, adesso si è meno coraggiosi nella proposta musicale, come in tutti gli altri campi. C’è un appiattimento, una normalizzazione. Il pubblico s’è ristretto, e lo si vuole conservare: un disco d’oro è 30mila copie, fino a pochi anni fa era di un milione». M.: «Se uno portasse a una radio, per promuoverla, una canzone come Questo piccolo grande amore, che ha un’introduzione di un minuto e mezzo, o un pezzo di Guccini o De André, non riuscirebbe a farne niente: invece i loro brani hanno potuto diventare dei monumenti». Perché? «C’era attenzione alla musica». Baglioni: «Noi volevamo sparigliare, rompere l’ordine costituito. Ora la musica c’è sempre, ovunque. Uno entra in ascensore e sente il primo preludio di Bach: è troppo! La musica era primaria, non lo è più». «Io che venivo da In ginocchio da te mi battei per fare C’era un ragazzo, che era una rottura straordinaria, era contro la guerra e infatti la Rai lo censurò». «Allora non volevamo essere schiacciati dentro le etichette, nelle dannate didascalie sotto le foto», dice Baglioni. «E invece Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte sarà forse scritto sulla mia tomba… Di certo il tg metterà quella!».
Il “tempo perduto” che ritorna attraverso tante “madeleine” musicali solleva una domanda di Morandi: «Claudio, ma tu la Recherche di Marcel Proust l’hai letta? Me l’hanno regalata a Natale, e mi sono proposto di leggere insieme ad Anna (la moglie, ndr) 5 pagine al giorno, a voce alta. In un’intera pagina scritta in piccolo c’era un solo punto! Aperture di parentesi, virgole…». «L’ho letta a pezzi», risponde Baglioni, «in effetti, se interrogassimo con la macchina della verità tutti quelli che la citano, scopriremmo quanti l’hanno finita davvero!». M.: «Mi ricordo quando mio padre mi faceva leggere Che fare? di Lenin, a voce alta davanti a lui mentre lavorava. O Il Capitale di Marx! Avevo 11-12 anni, mio padre andava in sezione, prendeva i libri che trovava e mi dava da leggere 20-30 pagine al giorno. Storia del partito comunista bolscevico di Giuseppe Vissarianovic Stalin! Alla fine né io né lui capivamo niente. Quando lo dico a mia sorella, che aveva due anni di meno, s’inalbera: non è vero, ti è servito! Ma la Recherche la devo leggere. E quando mi metto in testa una cosa… Su Facebook, da quando ho cominciato tre anni fa – e prima non ero capace neppure di mandare gli sms – non è passato un giorno senza che mettessi qualcosa (e ora ha 2,1 milioni di like, ndr). Proust sono 2058 pagine. Ci mettiamo la sera, dopo aver scritto il diario. Ho letto così anche Guerra e Pace, che mi è piaciuto molto».
50 quaderni di Gianni. «Ma la vera Recherche di Morandi è un’altra: sono i suoi diari», sottolinea Baglioni, «il suo grande mistero». «Li scrivo dal ’58. Ogni sera. Poche righe. Stasera ci sarai: “Ho incontrato Edoardo Vigna allo Château Monfort». «Che più che Proust, fa molto “Tre moschettieri”…», chiosa Baglioni. Dove sono scritti? «Prima su agende di banca e quaderni, ora Moleskine e altra roba. Sono 50 volumi. “Ho corso 11 chilometri”, “Ho portato mio figlio dal dentista”. Solo qualche riflessione. Ogni tanto vado a rivedere che facevo in un certo giorno».
Come il 7 febbraio ’87. «Quello del ricordo più forte che ho dei miei Sanremo. Ero al finale con Tozzi e Ruggeri (Si può dare di più, ndr) contro Leali e Cutugno. A un certo punto Baudo, che presentava, diede l’annuncio che era morto Claudio Villa. Lui era l’idolo di mia madre, nata un 7 febbraio: quando io ero diventato il rivale del reuccio della canzone italiana, era rimasta molto colpita. La chiamai: fu una serata felice, avevo vinto, ma per entrambi c’era tanta tristezza». Chiedo a Baglioni: «Io penso a quando fui premiato per Questo piccolo grande amore. Tutti ormai si esibivano in playback. Io invece cantai dal vivo al pianoforte: mi guardavano come un marziano. Due anni dopo fu reintrodotta l’orchestra e il live: mi sembrò di aver contribuito alla rifondazione del Festival».
Un ricordo forte. «Ma in generale ho dei buchi clamorosi di memoria», continua Baglioni. «Quando c’erano papà e mamma, per farmi tornare alla mente le cose, mi facevo raccontare da loro». «Al paese, a Monghidoro», aggiunge Morandi, «ogni tanto vado in piazza dai vecchietti che mi ricordano di quando non c’era l’autostrada e tutti passavano lì: Tyrone Power e Linda Christian prima di sposarsi, Claudio Villa che fermò tutti…». «Monghidoro come El Paso!», gioca Baglioni. Anche lì c’era un “capitano” importante… «Di ventura, però», precisa Morandi. «Sapete come si chiamava? Armaciotto de’ Ramazzotti…!». Memoria, ironia, risate: s’è fatta una certa ora, ma chi li ferma i due capitani coraggiosi?
Edoardo Vigna