Articolo Venerdi Repubblica del 14\08\2015
ATTENTI A QUEI DUE
MEZZO SECOLO DI SUCCESSI CHE HANNO ATTRAVERSATO LA TRASFORMAZIONE DELL’ITALIA. INCONTRO CON L’INEDITA COPPIA GIANNI & CLAUDIO, ALLA VIGILIA DI UN MAXI TOUR PER CAPIRE COME FA A DURARE TANTO UN’EMOZIONE TRA DISCESE ARDITE E LE RISALITE…
DI PIERO MELATI
Il fantasma di Rudyard Kipling, il premio Nobel per la letteratura nato in India e morto in Inghilterra, si insinua nell’ascensore di una palazzina del quartiere Parioli. Dietro di lui, senza rendersi conto di spingerne l’immagine, arriva a passo di carica Gianni Morandi. Il caldo sfora i trentacinque. Ma il dinamico cantante, venuto al mondo nel 1944, in forma come un ragazzino, non si è risparmiato una corsa mattutina a Villa Borghese inseguito come al solito da qualche fan più giovane di lui ma stroncato dalla vitalità del golden boy. Nel salone dell’appartamento che raggiungiamo arriva Claudio Baglioni. Ha in mano un fascio di carte. Morandi lo avvicina. Entrambi sono in jeans e maglietta. Stanotte Baglioni ha dormito poco. E’ saltato giù dal letto tre volte, mettendosi al computer. Poi ha inviato altrettante mail ai suoi musicisti, in orari degni di un sonnambulo. Dentro c’erano nuovi accordi per legare alcune perle dei rispettivi songbook. Una canzone finisce e un’altra attacca subito dopo. “Che ne pensi?” chiede Claudio a Gianni, aprendogli i preziosi fogli sotto il naso. In un angolo del salone, se davvero esistessero i fantasmi, forse Rudyard Kipling se la riderebbe. Magari bollando il duo (lui uomo cresciuto in Pakistan, lavoratore a Bombay, massone e viaggiatore del mondo) come “artisti saltimbanchi”.
E’ lesa maestà scomodare quel gigante per due (pur illustri) canzonettari? Ma non scherziamo. Non c’è problema. Rudyard è già abituato a vedere i suoi Kim e Il libro della giungla remixati dai cartoon della Disney. Figurarsi se si farebbe scrupoli perché due big dell’italico bel canto hanno chiamato il loro tour Capitani Coraggiosi. Come il titolo di un altro suo celeberrimo capolavoro “per ragazzi” (si, certo, definiamolo pure “per ragazzi”…). Baglioni e Morandi lo ammettono apertamente: “Il libro di Kipling c’entra qualcosa”.
Capitani Coraggiosi tour. Dieci serate dal 10 al 22 settembre, al Centrale del Foro Italico di Roma. Ogni volta almeno tre ore sul palco. E poi chissà. Un disco, una tournée, un programma tv. Tutto con il timbro da eterni romantici. Gli ultimi sentimentali. Ok, ma che c’entra Kipling? Rinfreschiamoci la trama di Capitani Coraggiosi. Harvey Cheyne è un ragazzetto di quindici anni, figlio di un magnate americano. Non conosce cosa sia la fatica o il sudore della fronte. Durante una traversata verso l’Europa, cade dalla nave. Viene salvato da una barca di pescatori. Da loro impara la vita e i valori morali dei rudi uomini di mare. Leggendari personaggi con nomi da fumetto lo circondano (Long Jack, Pennsylvania Pratt, Disko Troop). Alla lunga ne se conquista la stima e diventa un adulto consapevole e un buon marinaio.
E oggi? Spiega Claudio Baglioni: “Anche oggi viviamo in un tutto dove abbiamo tutto”. Come il protagonista di Capitani Coraggiosi di Kipling? Prosegue: “Il vuoto? No, mai. E’ tutto pieno. Come i taxi del 3570, non ti lascia mai solo”. Gianni Morandi conferma: “Se ci togli i telefonini, siamo disperati”. Baglioni: “E in questo c’è qualcosa che non va. Ci si fa credere che contiamo qualcosa. Invece, se guardiamo la storia vera della gente, scopriamo che solo in Italia i poveri sono diventati quattro milioni”.
Morandi si getta sul divano e parte a gesticolare. “Quando abbiamo battezzato Capitani Coraggiosi il nostro progetto, ci siamo riferiti al bisogno di libertà, alla voglia di pulizia, al ritorno di quei valori guida che ci mancano”. Baglioni, seduto di fronte a lui, annuisce. “Per la categoria sentimenti e valori scegliamo la dignità e la reputazione. Oggi in tanti si fanno la galera, tornano e ricominciano come nulla fosse. Prima tenevi alla reputazione sopra ogni cosa. Adesso puoi avere combinato di tutto e diventi lo stesso un mezzo eroe da imitare. Anzi di te si dirà: è un furbo, un paraculo. L’onore non è più la cosa più sacra. Il valore numero uno è assurgere alla notorietà delle cronache, essere ad ogni costo qualcosa, qualcuno”. Gianni allarga le braccia: “Torniamo alle cose antiche. Non solo valori ma anche l’avventura, la fantasia. Cerchiamo di ripristinare il principio del rimettersi sempre in gioco, non adagiarsi mai sugli allori ma andare a prendere il vento della vita. Tutti abbiamo perduto l’idea che è domani il giorno più bello. Non ieri, domani. Non ci vogliamo autocelebrare. Partiamo all’avventura perché ne abbiamo bisogno, ne sentiamo la necessità. Testa e cuore, capitano. Testa, coraggio e cuore”.
D’accordo. Ma chi sono oggi i “capitani coraggiosi” cui ci potremmo rifare, noi poveri italiani? Morandi scatta: “De Gasperi. Che noi comunisti pensavamo che fosse…e invece nel dopoguerra pronunciò un famoso discorso sulla dignità come valore che deve rappresentare il popolo italiano. E tenne quel discorso con il cappotto prestato da un parente. Quello era un uomo. E oggi il papa. Quei momenti irripetibili, veri…il suo “Buonasera” pronunciato appena dopo la sua investitura”. Baglioni si infervora: “Sai qual è il senso di paternità più grande? Essere i grandi padri di un popolo. Oggi c’è solo mediocrità. Ma forse sono i momenti storici a creare i capitani coraggiosi”. E i valori? “Ama il prossimo tuo come te stesso” dice Morandi “è impressionante la forza di questa frase. Ama gli altri ma anche te stesso. Ma a chi ti puoi ispirare oggi? E’ caduto tutto. Io mi attacco al sorriso di Francesco. Mi dona un attimo di serenità”. Baglioni ride: “Anche perché nessuno di noi raccoglierà mai ad un concerto tutte le persone che raduna il papa”.
La storia d’Italia sfila in un attimo, nell’alambicco di questa strana coppia. In certi casi le canzoni sono più istruttive di un libro di storia. Chi non ha mai ascoltato e fischiettato una delle loro? Quaranta, cinquant’anni sulla scena. Fatti mandare dalla mamma, In ginocchio da te, Se non avessi più te, La fisarmonica, C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, Belinda e Occhi di ragazza, Al bar si muore di Morandi e ti sei fatto dai Sessanta ai Settanta: il boom economico, l’emigrazione al Sud, Mike Bongiorno e Fellini, la strage del Vajont, il Concilio Vaticano II, l’autunno caldo, il 68, Valle Giulia, le vacanze con la Fiat 500, le domeniche italiane con mezza partita trasmessa in tv in bianco e nero, telecronista Nicolò Carosio. Passi a Baglioni e partendo da Signora Lia scivoli lungo la dorsale che ti porta a Questo piccolo grande amore, W l’Inghilterra, Io me ne andrei, E tu…, Porta Portese, Poster, E tu come stai?, Strada Facendo. E finisci dentro Piazza Fontana, la strategia della tensione, le stragi, gli anni di piombo, le prime radio libere, il 77, il sorpasso elettorale del Pci sulla Dc, il caso Moro.
Insieme, tutti e due fanno paura. L’uno, Morandi, è uno dei venti cantanti che ha venduto più dischi nella storia. L’altro, Baglioni, ne aveva già venduti milioni a soli 25 anni. “Ci separa meno di un decennio” dice Claudio. E Gianni aggiunge: “Ci siamo conosciuti nel 1969, lui aveva fatto il provino all’Hilton, militavamo nella stessa casa discografica. Io mi preparavo a una lunga eclissi, lui invece esplodeva”. Baglioni sorride: “Quando l’ho conosciuto Gianni era il lord, il papa. Per dodici anni era stato il sovrano incontrastato della canzone italiana. Ma mi avvicinò lo stesso. Lui ha questo garbo, è un gentleman, educato, rispettoso, ti ascolta. Poi fa la sua battutina”.
Sono gemelli diversi. Più volte nella polvere e più volte sugli altari. Quando la parabola di uno saliva, quella dell’altro scendeva. Morandi: “Io negli anni Settanta, quando Claudio si affermava, ero finito. Mi ero iscritto al Conservatorio, dove ho imparato a suonare il contrabbasso. Le mie giornate erano vuote, non sapevo cosa fare. SUonavo nei piccoli teatri e la gente si incazzava con me. Una volta Giorgio Gaber intervenne per difendermi. Ma siete scemi, disse al pubblico. Bussavo agli amici: avete una canzone? Qualcuno me la dava, altri invece no”. Tempi difficili. Baglioni: “Noi cantautori eravamo diventati la raffigurazione del nemico. Nel 1976 Francesco De Gregori venne contestato. Ne uscì scioccato. Cenammo insieme, pianse tutta la sera sulla mia spalla. Erano saliti sul palco e lo avevano minacciato. Per lui fu una cosa durissima.
E poi? Poi negli anni 80 Morandi incontra Mogol.E cambia di nuovo tutto. “La mia fortuna fu che aveva litigato con Battisti”. Da qui il rilancio, la vittoria a Sanremo con Tozzi e Ruggeri, il tour con Lucio Dalla, i trionfi televisivi, i due festival da presentatore. E Baglioni? Nell’86 è l’artista dell’anno. Nell’88 viene inspiegabilmente contestato a Torino, a un concerto per Amnesty International. Giorgio Berselli scriverà su quell’episodio: “Claudio esaurisce la sua performance con quella trionfale mestizia che prende i grandi interpreti, i grandi clown, i grandi lirici, e anche gli spettatori, tutti noi, fantasmi dell’amore, nostalgie divine, essenze sentimentali. Tira una maledetta aria di poesia, molto vicina alla tristezza, quasi ai confini con la depressione”. Poi un terribile incidente d’auto nell’89. Sembra finito. Macché. Nel ’91 torna in concerto al Flaminio. Un trionfo. Da allora non si è più fermato.
Si è fatta l’ora delle prove. Questi due “mostri” che hanno conosciuto la gloria e la sconfitta si sono inflitti decine di sedute, per prepararsi alla nuova avventura. Lo studio è sempre ai Parioli. La band? Non è un gruppo ma un’orchestra. Ventuno elementi. Due batterie, sezioni di fiati e violini, due chitarre, tastiere, un grande coro. Ci accomodiamo alle spalle del duo, davanti ai coristi. Ci accomodiamo alle spalle del duo, davanti ai coristi. L’aria è amichevole. Ma quando attaccano il middle di Mille giorni di te e di me (Baglioni) e di Uno su mille ce la fa (Morandi) sembra che decolli un’astronave. Senza la teatralità e i lustrini del palcoscenico, tra tshirt slabbrate e bermuda sdrucidi, caffè macchiati e capelli arruffati, la potenza della musica, la struggenza delle parole, l’emozione degli acuti, la bellezza semplice dei ritmi, arrivano come colpi al cuore. E si immaginano già le migliaia di smartphone che, ai loro concerti ufficiali, accenderanno le torce, al posto degli accendini delle vecchie adunate. Già si vedono gli occhi velati di lacrime dei fan.
Ma come si crea la musica? Vero che si cerca sempre la perfezione come un’ossessione? E che cos’è che colpisce tanto nel profondo chi, in fondo, ascolta solo una danza di sette note? Dice Baglioni: <<Verdi scriveva mentre moriva qualcuno di famiglia. L’artista si sente più decisivo per il mondo che non per chi gli è più vicino. Vero, c’è l’ossessione>>. E Morandi: <<Di canzoni ne avrò cantate trecento. Ma otto sono rimaste inchiodate nella testa della gente. Le avrò dovute riproporre almeno tremila volte. Cosa ne decreti il successo è un mistero. Ma è vero che ogni giorno che Iddio manda in Terra pensi sempre che la canzone più bella la devi ancora scovare.E non smetti di cercarla. Speri sempre che qualcuno scriva una MY WAY per te. Poi capisci che questo è anche il modo per non fermarsi mai, per andare avanti>>.
Come è cambiata la musica? Spiega Baglioni: <<Oggi non c’è più il tempo di ascoltare. Se nei primi venti secondi di una canzone non succede qualcosa, il produttore non te la passa. Oggi un paio di minuti di introduzione non vengono tollerati. Agli inizi dei Settanta c’era più attenzione alla forma canzone. E c’erano gli editori musicali, che ora non ci sono più. Erano dei mediatori, ti accompagnavano, ti incoraggiavano, ti consigliavano persino ascolti e letture. Erano deputati a coltivare il talento. Oggi se sbagli un disco ti buttano via>>. Morandi sospira: <<Abbiamo avuto una fortuna meravigliosa, a vivere>>.
Trascrizione a cura di Sabrina Panfili in esclusiva per doremifasol.org e saltasullavita.com