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Lettera di Rossella Barattolo

Raramente mi è capitato di leggere, in un unico articolo, una così grande quantità di falsità e distorsioni della realtà come nel pezzo “Festa con le star nel giorno sbagliato”, apparso su “Il Secolo XIX” a firma di Paolo Crecchi.Mi rendo conto che viviamo tempi nei quali la realtà non esiste più. Al suo posto c’è la rappresentazione strumentale che della realtà danno osservatori più o meno “interessati”. Risultato: non solo i fatti non vengono più disgiunti dalle opinioni (personali o politiche che siano), ma sono tali opinioni a determinare i fatti e non viceversa.A Lampedusa, dunque, lo scorso fine settimana, si sarebbe celebrata una “festa giusta” in un “giorno sbagliato”. Nessuna delle due cose è vera. Innanzitutto non si è trattato di una festa. Non c’è assolutamente nulla da festeggiare. Né dal punto di vista della gente di Lampedusa, né da quello di migranti o profughi. Non dal punto di vista di quanti lavorano (mettendo spesso a repentaglio la loro vita) per cercare di offrire a chi c’è e a chi arriva un presente un po’ più degno di questo nome, né da quello degli artisti che cercano di sollecitare risposte. Nessuna festa, dunque. Semmai una testimonianza, un richiamo, una richiesta di attenzione e di aiuto.Nessuna festa e nessun “giorno sbagliato”. Semplicemente perché da anni, ormai (per non dire decenni) non esiste un giorno “giusto”, né per Lampedusa, né per il Mediterraneo. Ogni giorno, infatti, è un giorno “sbagliato”. Un giorno nel quale centinaia di persone rischiano la vita (e, spesso, la perdono tragicamente) nel tentativo di trovare in Europa ciò che nella loro terra gli è negato: un futuro degno di un essere umano. Aspettare un “giorno giusto” per fare qualcosa per Lampedusa significherebbe, dunque, non fare mai nulla. Ma non è solo una manifestazione come “Lampedusa Sùsiti” che non si può rimandare (e non certo per il contributo dei Beni Culturali, stanziato già dallo scorso anno): è, soprattutto, l’attenzione di Istituzioni, Politica, media e opinione pubblica europee ed italiane. Quello delle migrazioni è un nodo centrale del nostro presente/futuro. Nodo che Europa e Italia non possono più trascurare, né strumentalizzare per esigenze di consenso, ma devono decidersi ad affrontare in maniera seria e strutturale.Non è un “guaio”, né un caso, inoltre, che il palco della manifestazione sia stato allestito a Cala Pisana. Cala Pisana – come l’intera Lampedusa, del resto – è un simbolo. Il simbolo di un dramma che chiede risposte serie e urgenti.Ancora: “Lampedusa Sùsiti” non doveva essere lo “spot meglio riuscito” di Berlusconi. Primo perché non di uno spot si è trattato, ma di una testimonianza autentica di solidarietà per gli isolani, accoglienza ai profughi e riconoscenza ai soccorritori. Come dimostra, tra l’altro, una cerimonia pubblica di ringraziamento a tutte le realtà – Forze dell’Ordine, Organizzazioni Non Governative Internazionali, mondo del volontariato – che, ogni giorno, danno il massimo per assistere isolani, migranti, rifugiati e profughi. Secondo perché “Lampedusa Sùsiti”, come del resto la rassegna O’scia’, non ha mai sposato e non sposerà mai alcuna causa politica. Gli oltre 300 artisti che, in quasi dieci anni, sono venuti a Lampedusa non lo hanno fatto per sostenere questa o quella politica, né per sostituirsi alla politica. Lo hanno fatto, semmai, per sollecitare la politica a fare il proprio dovere: a non voltarsi dall’altra parte, ma ad intervenire per dare risposte ad un grande, drammatico, problema. E’, dunque, vergognoso, oltre che completamente falso, sostenere che un’iniziativa come Lampedusa Sùsiti “doveva essere l’acconto delle promesse del Cavaliere”. Ed è, francamente, sconcertante che essa venga accostata a soluzioni quali un campo da golf o un casinò. In una tale selva di falsità e distorsioni, non stupisce, quindi, che si ignori il fatto che l’idea di candidare l’isola e la gente di Lampedusa al Nobel della Pace, sia un’idea della Fondazione O’scia’ che la Presidenza del Consiglio si è limitata a far propria e rilanciare.Una sola cosa vera si legge nell’articolo: “non ci può essere spensieratezza al confine dei due mondi”. E’ vero. Dolorosamente vero. Nessuna spensieratezza. Lo sanno bene i lampedusani. Lo sanno benissimo migranti, profughi e rifugiati. Lo sanno tutte le sigle, nazionali e internazionali, impegnate 365 giorni l’anno nel soccorrere e aiutare gli uni e gli altri. Lo sanno gli artisti, la cui musica, infatti, non serve a scacciare i pensieri ma a sensibilizzare opinione pubblica e coscienze e a sollecitare risposte urgenti e concrete. Dopo dieci anni – anche grazie alla testimonianza, all’impegno e alla determinazione della Fondazione O’scia’ – cominciano a saperlo anche Istituzioni e forze politiche, nazionali ed europee, sempre più consapevoli del fatto che l’integrazione è una strada obbligata, se si vuole scongiurare lo scontro e promuovere l’incontro tra civiltà. E che l’alternativa – la disintegrazione – sarebbe una prospettiva di gran lunga più drammatica e dolorosa. Manca all’appello una sparuta minoranza di giornalisti. Quelli che restano prigionieri di quei preconcetti e pregiudizi che dichiarano di voler combattere. Ma questo non ci scoraggia. Anzi. Ci conferma ad andare avanti con maggiore determinazione. La verità, forse, non sempre paga sui giornali. Ma paga sempre nella vita.

Rossella Barattolo

Presidente Fondazione O’Scia’

FONTE

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