Articolo Famiglia Cristiana
Baglioni e Ruggeri: Lampedusa, alzati
Lampedusa “susiti”, cioè alzati in dialetto siciliano: è la manifestazione che Baglioni e Ruggeri, con i colleghi della Nazionale cantanti, hanno promosso per sostenere l’isola
I suoi colleghi hanno lasciato Lampedusa dal 4 giugno, ma lui è ancora lì: c’è l’arcivescovo di Agrigento Francesco Montenegro da incontrare e poi «mi piace così tanto girare per le stradine dell’isola e parlare con la gente». Claudio Baglioni è felice: “Lampedusa susiti” (“alzati” in dialetto siciliano), è andata benissimo. Per tre giorni con i colleghi della Nazionale cantanti si è esibito nei luoghi più belli dell’isola, dal faro di Capo Grecale al Santuario, ha partecipato a un triangolare di calcio con la squadra locale e con una squadra delle forze dell’ordine, ha incontrato tutte le associazioni umanitarie che da mesi mettono il massimo del loro impegno, da Save the children alla Caritas, e soprattutto i lampedusani che «anche nei momenti più difficili hanno dato prova di grande solidarietà».
Dal “continente”, come i siciliani chiamano il resto d’Italia, il presidente della Nazionale Cantanti Enrico Ruggeri gli fa eco: «In questi giorni ho ascoltato tante storie di piccole e grandi buone azioni, di gente che ha aperto le porte di casa sua per permettere agli immigrati appena sbarcati di farsi una doccia, che ha donato coperte, che ha portato il latte alle donne per nutrire i bambini. È stato bello anche giocare contro i ragazzi delle forze dell’ordine che stanno facendo un lavoro straordinario. Com’è finita? Forse ci hanno sottovalutato, ma alla fine abbiamo vinto noi». Anche Baglioni, suo malgrado, ha dato un suo contributo concreto. In uno dei convegni di “Lampedusa susiti” ha raccontato che qualche mese fa sei immigrati sono entrati nella sua villa mentre lui non c’era: hanno mangiato, hanno bevuto, hanno dormito e poi al mattino sono andati via, senza toccare niente. «Va bene così», ha commentato.
E dire che quando nel 2003 il cantautore lanciò il festival “O’ Scià”, raccontò di averlo fatto perché si sentiva in colpa. «Mi sentivo e mi sento un privilegiato a vivere in un posto così meraviglioso mentre a pochi metri da me c’era gente che rischiava di morire per un futuro migliore. Non potevo far finta di niente». Ma com’è adesso la situazione? «Se non avessi saputo nulla di quanto è accaduto, avrei pensato: questo è il luogo ideale dove trascorrere le vacanze», aggiunge Ruggeri. «Tutto è stato ripulito e anche la gente si sente sollevata perché ha capito che finalmente lo Stato, anche se in ritardo, ha fatto il suo dovere. Purtroppo, in giro si vedono ancora pochi turisti». Sono ancora troppo vicine nel ricordo le immagini di marzo, con le spiegge occupate da più di 6 mila migranti e così il flusso turistico, che l’anno scorso aveva fatto registrare un 22 per cento in più, si è bruscamente arrestato, nonostante le allettanti offerte che comprendono voli al di sotto dei 100 euro dei tour operator.
Intanto, però, Baglioni qualche risultato concreto per far tornare Lampedusa alla normalità l’ha ottenuto. «Già prima che scattasse l’emergenza, avevo scritto a tutti, dal presidente Napolitano ai presidenti delle Camere, a parlamentari della maggioranza e dell’opposizione, sottoponendo una lista delle cose da fare. La più sollecita nel rispondermi è stata il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo che mi aveva garantito il suo impegno. Ora il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli mi ha assicurato che sono stati trovati i soldi per bonificare l’isola dai rifiuti rimasti, rimuovere i barconi, risistemare il porto e soprattutto completare il depuratore». Un rammarico però resta: quest’anno a settembre per la prima volta molto probabilmente non si farà il festival “O’ Scià”: «Nonostante ormai abbia una risonanza internazionale e per la prima volta l’anno scorso siamo anche riusciti a portarlo fuori dall’Italia, a Malta, non sono riuscito ancora a ottenere il sostegno necessario per organizzarlo: è un peccato, ma temo che sarà difficile dare un seguito a “Lampedusa susiti”».
Eugenio Arcidiacono