Baglioni: quel giorno non cantai
A Scafati con il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia per presentare il libro del pm, Claudio Baglioni ha ricordato Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto. «Quando seppi della strage di via d’Amelio non cantai». E poi: ««Quello del magistrato è un lavoro umile che si fa a volte in modo umiliante perchè gli umili non siano più umiliati. E lo racconta in questo libro dove c’è la fierezza di un uomo che è fiero di non essere umile». Ovazioni e fan in attesa per un autografo per un mito della canzone italiana. > Continua a pagina 34.
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Scafati. C’è la folla delle grandi occasioni. Ci sono mamme, con le figlie. Telecamere sempre accese, macchine fotografiche pronte a scattare immagini ricordo.
C’è lui, il cantautore che fa da ponte tra due e più generazioni.
Ma Claudio Baglioni sfugge flash e fans. Arriva a Scafati, puntuale, alle 18.30, accolto da un fragoroso applauso per essere al fianco del suo amico magistrato, Antonio Ingroia, ospite con il suo libro, «Nel labirinto degli dei – Storie di mafia e di antimafia», di una realtà «difficile», di un territorio troppe volte martorizzato dalla malavita organizzata.
Certo, Scafati non è Palermo ma la voglia di legalità è la stessa. Come dice lo stesso Baglioni quando, a fine manifestazione, gli viene regalata una «tammorra».
«Tammorra e cammorra, sono parole simili. Basta cambiare una conosonante e cambia la vita», commenta.
La Sicilia incontra la Campania, legate dalla stessa voglia di legalità. Libera incontra O’Scià nel nome degli umili.
E quando si parla di umili non si possono non ricordare gli immigrati. Come quelli che l’azione cattolica di Scafati da anni segue.
Come Claudio Baglioni e sua moglie Rossella Baratto, da anni impegnati proprio a favore degli immigrati. Baglioni a Scafati non rappresenta se stesso ma la sua Fondazione per «ricordare» l’impegno sociale e civile di quanti ancora credono nella possibilità di un cambiamento.
Lui, personaggio pubblico e artista, risponde all’appello del magistrato Antimafia che dice: «Ho scelto te perchè anche tu racconti, perchè gli artisti devono uscire fuori, mostrare il loro impegno sociale. Anche le persone dello spettacolo devono farsi delle domande in più, capire l’impatto che certe cose hanno sull’opinione pubblica.
Come nel caso della fiction Il capo dei capi che ha mitizzato Totò Riina. Il mio non è un approccio moralistico ma credo che ciscuno di noi debba essere un po’ più cittadino e partecipe». È un Baglioni dal viso tirato quello che siede sul palco del cineteatro San Pietro Apostolo. Silenzioso, attento ad ascoltare i racconti di impegnato nel suo abito gessato rigorosamente nero. Ogni tanto prende appunti: apre la sua moleskin, scrive qualcosa, legge qualche frase precedentemente scritta.
«Quando Ingroia mi ha chiesto di partecipare ad una delle presentazioni del suo libro, mi sono chiesto: che c’entro io? – racconta Baglioni – e così mi sono venuti in mente dei brevissimi incontri con Antonino Caponnetto e Maria Falcone con i giovani siciliani, per parlare di mafia. O Rita Borsellino quando mi diceva: mio fratello voleva venire ad un tuo concerto quanto è dovuto correre in procura, peccato avrebbe vissuto qualche momento di gioia.
Mi è venuto in mente che ero in Abruzzo quando giunse la notizia della morte di Borsellino e decisi di non fare il concerto». Spezza l’emozione del momento con qualche battuta, raccoglie qualche applauso e ricorda anche il momento in cui ha conosciuto Antonio Ingroia.
«Eravamo qui vicino, a Pompei, dove ci diedero la cittadinanza onoraria. Ma stasera, a quanto pare, non ce la daranno. Vero sindaco?», dice rivolgendosi a Pasquale Aliberti. «Il titolo mi ha colpito – prosegue Baglioni parlando del libro – Labirinto è un gioco amaro, vuol dire riuscire a trovare la strada. Quella giusta. Sono tante storie, anzi racconti che poi si mescolano insieme diventando la storia». Racconta il libro cercando di stuzzicare la fantasia della platea. Punta l’indice contro «le tante cose rimaste inesplorate» in questo drammatico racconto della mafia. Racconta ciò che ha attentamente letto con la sensibilità che mette nelle sue canzoni. «Quello del magistrato è un lavoro umile che si fa a volte in modo umiliante perchè gli umili non siano più umiliati. E lo racconta in questo libro dove c’è la fierezza di un uomo che è fiero di non essere umile», conclude.
Testimonial di una giornata del ricordo nel giorno successivo a quella del ricordo, Baglioni a fine incontro non disdegna di stringere la mano a qualche fan. Quelli più fortunati, quelli che hanno qualche conoscenza tra gli organizzatori. Ma evita fotografie, si concede solo per qualche autografo. A sorpresa, ad accompagnare le mamme, questa volta non ci sono solo ragazze ma anche tanti ragazzini.
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